La nascita di Carosello

Domenica 3 febbraio 1957 andò in onda per la prima volta in televisione il mitico Carosello

All’epoca non si faceva zapping, perché il telecomando non era stato ancora inventato, ma la pubblicità piaceva tanto, grazie anche al piccolo teatrino di personaggi reali e immaginari associati ad altrettanti prodotti commerciali, appunto Carosello.
A tre anni dall’avvio del «suo regolare servizio di trasmissioni televisive» annunciato da Fulvia Colombo, la RAI trasmetteva diversi sceneggiati e giochi a quiz, questi ultimi affidati alla conduzione di Mike Bongiorno. Sulla scia di questa graduale apertura ai moderni linguaggi della comunicazione televisiva, unita all’obiettivo di aumentare le entrate, l’azienda sposò l’idea di dare spazio alla pubblicità.
Per questo fu escogitato un format che dava l’idea di proporre un mini varietà, soltanto in minima parte occupato dal prodotto da reclamizzare. Le regole, assai rigide, furono dettate dalla SACIS (società di produzione e censore della RAI). Ogni scenetta di Carosello, rigorosamente in bianco e nero, durava al massimo 2 minuti e 15 secondi, di questi solo gli ultimi 35 secondi erano dedicati a quella che veniva chiamata reclame.
Il nome del simpatico siparietto venne suggerito da Marcello Severati, che si era forse ispirato al film musicale Carosello napoletano. Di derivazione partenopea era anche il teatrino disegnato su un bozzetto di Gianni Polidori. Autore della sigla era Luciano Emmer, seguita da un rullo di tamburi e da una tipica tarantella.
L’esordio di Carosello avvenne dunque sul primo canale RAI, alle 20.50 di domenica 3 febbraio.

“Shell”, “l’Oreal”, “Singer” e “Cynar” furono i primi marchi pubblicizzati, ognuno preceduto appunto da una scenetta recitata da noti attori e personaggi dello spettacolo.
Lo spot entrava così nelle case di migliaia di italiani (gli abbonati in quel momento ammontavano a poco meno di 700 mila), che col passare del tempo si affezionarono ai vari personaggi che sfilavano sullo schermo.

Carosello piaceva a grandi e piccini, i grandi seguivano soprattutto gli sketch delle star del cinema e della TV come Totò, Macario, Vittorio Gassman, Mina e Nino Manfredi. I piccoli, invece, amavano le storielle di personaggi immaginari come Angelino, Carmencita e soprattutto il pulcino Calimero. Si trattava dunque di un piccolo show curato da firme famose della regia, del calibro di Luigi Magni, Gillo Pontecorvo, Ermanno Olmi e Sergio Leone.
Oltre alle numerose innovazioni che portava nel linguaggio televisivo, la trasmissione  entrava nella quotidianità delle famiglie, si imponeva come fenomeno sociale e per i bambini significava un po’ di libertà permessa prima di andare a nanna.

Dopo aver rallegrato le serate degli italiani per vent’anni, Carosello andò in pensione il 1° gennaio 1977, con il saluto di addio affidato a Raffaella Carrà. 

Con il format di Carosello era dunque nata la storia della pubblicità.
Al format cult, tra manifesti, bozzetti, video, oggetti, è stata dedicata la mostra Carosello. Pubblicità e Televisione 1957 – 1977, a cura di Dario Cimorelli e Stefano Roffi, tenutasi fino all’8 dicembre alla Fondazione Magnani-Rocca, a Mamiano di Traversetolo, in provincia di Parma, secondo appuntamento espositivo di un’indagine sul mondo pubblicitario, avviata due anni fa, con Pubblicità. «Carosello – ha detto Roffi, direttore scientifico della Fondazione – ha segnato il periodo d’oro della creatività pubblicitaria in Italia. Si veniva da un’epoca in cui a dominare erano stati i manifesti. Nel ventennio 1957-77 le campagne promozionali si avvalsero di più modalità espressive, articolandosi tra manifesti appunto, tv, riviste. Fu un periodo decisamente vivace. Poi la televisione avrebbe preso il sopravvento».

«Da contratto – ha proseguito – ciascun filmato poteva essere trasmesso una sola volta per assicurare ogni sera qualcosa di nuovo. Il pubblico andava affascinato e fidelizzato. Le produzioni, con ingente impegno economico, crearono personaggi che gli spettatori cominciarono ad amare, come Calimero, e le scenette diventarono appuntamenti come quelli delle successive fiction.
La nazione era uscita dalla depressione post-bellica, era iniziato il boom dei consumi, la corsa ad accaparrarsi i simboli del benessere. Carosello riproduceva il desiderio di serenità e agiatezza proprio di gran parte degli italiani. Non a caso la sua messa in onda si è conclusa quando quel mondo fiabesco non era più sostenibile, negli anni di Piombo».

Rosalba Angiuli